Per una riflessione sulla parrocchia di S. Agostino nel Centro Storico di Rimini si può prendere spunto dal seguente articolo di Avvenire-Bologna del 19 novembre 2023 -
Una parrocchia al centro
Ripensare il centro di Bologna, compito anche dei sacerdoti
di MARCO MAROZZI -
I preti devono ripensare il centro di Bologna: anche loro e almeno quello. È un dovere «sinodale», e scusate se laicamente mettiamo naso. Purtroppo e forse grazie alla Garisenda, cambierà la vita del centro bolognese. Quindi cambierà il modo di gestire le chiese da parte dei sacerdoti: fisicamente, intellettualmente, probabilmente anche religiosamente, liturgicamente.
Quando Renzo Imbeni chiuse ai bus, oltre che alle auto, via Indipendenza, crollarono tutti i negozi di vicinato, dove i passeggeri dei mezzi pubblici compravano. Cambiò la città per sempre, come è cambiata ora con i tavolini per bere/mangiare in ogni strada. I commercianti sono preoccupati per la minaccia Garisenda sugli affari. Lecito. Preghiamo e agiamo anche per loro.
Il centro pedonale non significa il centro vuoto, anzi, i TDays lo dimostrano. È un’occasione anche per le chiese.
A Bologna i cattolici praticanti non superano il 6%. «La partecipazione – ha detto il cardinal Zuppi - si è molto privatizzata. L’idea di comunità è meno attraente. L’individualismo ha deformato e ha portato a una religione pret-a-porter».
Il vescovo di Mantova, Gianmarco Busca, presidente della Commissione Cei per la liturgia, è stato drastico, parlando di «una qualità celebrativa un po’ deludente, un anonimato delle liturgie». E ha chiesto «maggiore attenzione da parte di chi presiede e delle assemblee, superare una gestione clericale dei riti».
Ai preti tocca una nuova evangelizzazione. Missionariato sotto le Due Torri e ben oltre. Le chiese devono diventare davvero «pedonali». Luogo di passaggio comunitario. Di vita, di sosta.
Per chi crede, un eventuale aumento di presenti alle Messe si conquista così. Per tutti è un modo forte per fare comunità.
La zona interna a porta San Vitale è molto frequentata dai mussulmani, che hanno una moschea in un negozio.
La chiesa più vicina, in San Vitale, Santa Maria della Pietà è stata per anni quasi chiusa, recuperata ora dalla Fondazione per le Scienze religiose, come Aula Magna. Quindi nessun fedele che esce dalla moschea incontra mai un cattolico che esce da una qualsiasi preghiera. Muri che nemmeno si sfiorano. Due città.
Chiese chiuse per molte ore, non solo in centro. Portici deserti. Attorno la vita che scorre per gli apericena. Non si cerca concorrenza né adeguamento: l’episcopale St. Bartholomew a New York ha terrazze per i cocktail.
Chiese aperte significa persone che controllino. Costano?
Almeno fra il 6% dei praticanti c’è nessuno disponibile? L’autogestione è finita per sempre?
E il sinodo cosa è, spiegato al popolo?
Le chiese scendono in piazza se sono capaci di uscire dalla ritualità. Le sagrestie possono diventare richiamo per bambini e mamme, magari ci fosse mescolanza di origini e colori.
I biliardini sono scomparsi come i preti-calciatori e Il Vittorioso da leggere, il popolo degli apericena non è fatto però di pagani crudeli: un suono d’organo, anche registrato che esce in strada male non fa. Idem letture non necessariamente evangeliche.
Le Cucine Popolari, laiche amanti di Zuppi, si riempiono di decine di signore, immagino pensionate, che fanno tortellini e preparano pranzi per chi ha bisogno, corsi di lettura, chiacchierate. Hanno imparato dalla Caritas. Il termine poveri è usato il meno possibile.
Una volta molti matrimoni nascevano in parrocchia.
Adesso ai preti si fa lezione di comunicazione, si cercano liturgie in Lucio Dalla e De Andrè. Adesso ogni sacerdote deve studiare quanto e come può dare a una Bologna dove il sindaco protesta perché i suoi esperti sulla Garisenda non gli danno suggerimenti. Devono saper invitare la città ad entrare. A piedi.
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